Voto o non voto

La priorità dovrebbe essere la volontà popolare Si discute in questi giorni di un argomento che, nonostante le versioni talvolta interessate o faziose, ha una sua importanza e una sua attualità. e cioè se in caso di crisi della maggioranza parlamentare di governo si debba ricorrere senza indugio al giudizio degli elettori indicendo nuove elezioni, oppure se il presidente della Repubblica debba prioritariamente verificare, mediante le solite consultazioni, l’esistenza e la possibilità di una nuova maggioranza parlamentare capace di dar vita ad un nuovo governo. Si tratta di una questione che già nelle due ipotesi crea valutazioni che non si limitano ad una questione dottrinale di carattere costituzionale, ma che crea tensioni politiche ed istituzionali, come mostrano le forti polemiche e anche le ormai frequenti precisazioni a cui ò indotto il Capo dello Stato. Noi vorremmo avanzare una ipotesi di lettura, al di là della dottrina costituzionale e di senso pratico, sulla scelta di una eventuale procedura istituzionale. La prima, quella della convocazione immediata dei comizi elettorali, significherebbe che il presidente della Repubblica, al di là della prassi, interpreterebbe in concreto il nuovo corso politico di natura bipolare e quindi, andato in crisi il governo eletto con questo sottofondo politico, anche se non sancito da norme costituzionali (la cosiddetta costituzione reale) debba essere il popolo sovrano ad eleggere una nuova maggioranza parlamentare mediante, appunto, un nuovo voto. Se invece si scegliesse di privilegiare la prassi della verifica dell’esistenza di nuove maggioranze capaci di dar vita ad un nuovo governo, senza dubbio si seguirebbe un iter consolidato nel tempo, costituzionalmente ineccepibile, ma che sostanzialmente non terrebbe conto della volontà degli elettori che avevano scelto quel governo e quel presidente del Consiglio, senza alcuna vecchia alchimia parlamentare. La sovranità del popolo non dovrebbe essere violata (nè dovrebbe essere consentito) da trasformismi personali in corso d’opera, per cui il parlamentare eletto possa, secondo suoi criteri e sue convenienze, capovolgere il mandato che riguarda non l’approvazione di una legge particolare, ma l’indirizzo economico e politico dell’intero Paese. Che poi la ricerca di una maggioranza parlamentare alternativa, prescindendo dal voto popolare, possa essere letta come un «aiutino» all’unione di variopinti partiti di opposizione, mirante ad occupare un potere a loro non assegnato dagli elettori, non ci sembra del tutto peregrina. Il rispetto formale delle norme costituzionali non può significare non far decidere il popolo su una vicenda importante e decisiva qual è la formazione del governo della nazione.