Usi e il PD Calabrese
Il Pd calabrese vive in una grande difficoltà. L’avvento del Commissario più che risolvere qualche problema, ne ha aggiunto qualcuno culminati con la “cancellazione” dagli elenchi degli iscritti (si noti la raffinatezza rispetto alla vecchia clausola del Pci “espulso per indegnità morale e politica) di Nicola Adamo e Peppe Bova. Il senatore Musi ha voluto mostrare i muscoli, ma lo ha fatto in un modo che produrrà gli effetti contrari a quelli immaginati. E per due motivi essenziali. Cominciamo dal secondo. Adamo e Bova sono due dirigenti politici che avevano ed hanno radicamento profondo nel vecchio PCI e in tutte le varianti successive alla sua occhettiana abolizione. Si tratta di due dirigenti che hanno intessuto legami politici in lunghe battaglie e che nessun decreto commissariale può cancellare senza apparire se non ridicolo, paradossale. Ma il primo elemento che ci spinge a valutare in negativo gli effetti del provvedimento Musiano è la sua evidente incapacità di far fronte alla situazione che prima e dopo la sconfitta elettorale alle consultazioni regionali esisteva nel Pd calabrese: unico in Italia ad avere consentito ad un suo membro, nel caso il presidente della giunta regionale (circostanza non trascurabile) ad avere un suo personale partito all’interno del Pd. Una anomalia che ha complicato la già complicata politica calabrese e che ha portato il centro sinistra ad una sconfitta di dimensioni inaspettate per un governo regionale uscente. Questa anomalia che è la causa di tutti i problemi del Pd calabrese, Musi non l’ha affrontata nel giusto modo politico, dichiarando innanzi tutto l’illegittimità di uno spazio politico che Loiero intende gestire personalmente, con liste regionali e provinciali. Magari incaricando proprio l’ex presidente a sciogliere con una pubblica dichiarazione ogni tipo di raggruppamento personale, come incompatibile con l’appartenenza ad un partito organizzato. Il commissario ha invece scelto la via del recupero silenzioso e quatto quatto, che avrebbe potuto pur avere una sua efficacia, ma che avrebbe lasciato insoluti i nodi politici che lo avevano determinato. Ed infatti i nodi sono riemersi con tutta la loro forza e che nessun provvedimento di “cancellazione” potrà miracolosamente risolvere. Anzi. Ciò che a noi osservatori esterni, ma non disinteressati, stupisce è che con un Pd in pieno fermento, il commissario Musi afferma che di riorganizzazione e quindi di congressi, per ora non se ne parla proprio e che tutto è rinviato a dopo le elezioni amministrative del prossimo anno. Probabilmente non solo elezioni amministrative, ma anche politiche generali se si dovesse arrotolare l’instabile equilibrio della maggioranza berlusconiana. Può darsi che non abbiamo le stesse doti politiche del senatore Musi. Anzi, non le abbiamo certamente. Ma una domanda ce la consentirà: a quale criterio e per quale finalità tenere il Pd al palo per un anno, con tutti i rischi di fratture e di scollamenti, e non attrezzarlo rapidamente, dal punti di vista organizzativo e quindi capace di affrontare in piena unità le prossime prove elettorali?. Non pretendiamo che Musi ci risponda, ma cercheremo di capirlo seguendolo nei prossimi giorni.