Invertire si può: E si deve!
Una domanda che in molti si pongono è come sia potuto accadere che una zona politicamente vivace, come la Presila cosentina, un comprensorio che è stato talvolta anche punito dalle gerarchie di partito per la sua effervescenza politica, per il suo autonomismo antiburocratico, per la sua volontà di decidere e partecipare e non di ubbidire; come sia potuto accadere, dicevamo, che questa zona possa ora essere impaludata in una sorta di immobilismo ideale, in un evidente smarrimento, in una incapacità progettuale di risorse importanti. Ed inoltre, come si sia potuta verificare una eclissi delle energie intellettuali che l’avevano posta tra i punti di riferimento nella provincia e nella regione. Solo una realtà, che costituisce anche la speranza di rinascita, ci sembra di poter intravvedere nelle notevoli energie carsiche, che tali sono cresciute e divenute, che possono emergere e dare una nuova spinta, sollecitare nuovi impegni e quindi suscitare una ritrovata vivacità ideale e politica. Le analisi sull’evolversi degli avvenimenti che rappresentano i prodromi dell’evoluzione (o involuzione, in questo caso) sono sempre discutibili ed opinabili. Ma già questo confronto potrebbe costituire il nocciolo di un discorso che possa avviare una riflessione e un dibattito più generali. Intanto, diciamo che nessuna situazione, storicamente data, non viene influenzata da fattori di carattere generale: tali sono lo sgretolamento dei grandi partiti che hanno fatto la Repubblica, portatori di una idea di organizzazione e di progetti sociali ed economici; la loro sostituzione con movimenti leaderistici (prima fase del populismo) che si ispirano più che al progetto al carisma personale. Prova ne sia la non casuale mutazione, non solo grafica, dei simboli, i quali, più che richiamare il movimento di appartenenza, richiamano il nome del leader in grande evidenza; le revisioni (sarebbe meglio dire, le cancellazioni) acritiche di storie politiche da comprendere e non cancellare; la confusionaria e affrettata archiviazione delle ideologie che hanno trascinato anche le idee, per cui dirsi appartenenti ad uno schieramento al massimo ora rappresenta solo la mera collocazione in un evanescente spettro politico, ma non in un movimento con traiettorie precise su dove si intenda andare, con quali valori ed obiettivi, con quali alleanze sociali e culturali. Tutto questo “clima” generale ha indubbiamente contribuito a sviluppare e a far affermare una nuova cultura e nuovi disvalori, soprattutto finalizzati e mirati non solo alla negazione di validità, ma alla inattualità (?) delle precedenti strutture politiche, ora sostituite da singole autoreferenzialità o da limitati e circoscritti gruppi dirigenti che si perpetuano per cooptazione. Questo contesto politico generale, subentrato, col termine improprio di “Prima Repubblica”, a seguito del rivolgimento giudiziario del sistema politico del dopoguerra, ha, di fatto, costituito l’humus idoneo per una mutazione anche ai livelli periferici e locali, di strutture organizzative che pur avevano svolto un ruolo aggregante e di formazione di coscienze (chi non ricorda la definizione delle sezioni come scuole di formazione). Queste strutture fortemente legate al popolo, da selettive e formative, sono divenute, quando già raramente esistono, via via strumenti di accaparramento di potere, fino a snaturarsi ponendo le premesse, anche in sede locale alla formazione di aggregazioni fortemente tendenti al sia pur piccolo leaderismo, e comunque con un progressivo annullamento della funzione organizzativa di formazione del consenso e di mediazione della complessità degli interessi generali. E’ evidente che se un fenomeno di questo genere provoca preoccupanti cadute del tasso di democraticità di una nazione intera, si può immaginare quali effetti negativi può produrre in piccole comunità dove le spinte del particolarismo e del “familismo” sono molto forti e con difficoltà arginabili. Se a tutto questo, infine, si aggiunge la palude politica circostante determinata da medesime mutazioni a livelli più ampi; la mancanza di riferimenti; di strutture di sostegno e di confronto; di organismi consultivi; allora si comprende che rimanere spettatori di una situazione in crescente degrado, culturale più che economico, può avere solo il significato della volontaria o involontaria connivenza. E’ vero. Invertire una tendenza che si va sempre più radicalizzando non è opera semplice e facile: Ma è anche vero che è possibile iniziare in controtendenza. Cominciando dalle proprie realtà locali. Quindi dalla nostra, da questa Presila. Parlavamo di realtà intellettuali carsiche. Bene, una prima esigenza, quindi, è quella di portarle in superficie. Dar loro voce. Da qui si può ricominciare. Franco Molinari