Calabria in controtendensa
Mentre scriviamo è in corso la breve e parziale campagna elettorale per i ballottaggi. Non ne conosciamo quindi ancora gli esiti. Ma al di là del risultato di Napoli e soprattutto di Milano, il giudizio complessivo su questa tornata elettorale amministrativa, alla quale tutti e non solo Berlusconi, assegnavano valore politico, è nella sostanza indicativa di due elementi essenziali. Il primo è che il berlusconismo, per la prima volta, dà segni di una crisi vera. Meglio sarebbe dire che il centrodestra mostra un chiaro stato confusionale, originato da fattori diversi e convergenti che non potevano avere qualche significativo effetto. la straordinaria, e inedita nella storia d’italia del dopoguerra, di una campagna di attacco concentrico sul presidente del Consiglio; il tenace atteggiamento della magistratura; la scissione futurista finiana, tutta tattica e per niente strategica; ed infine la corte dei miracoli che circonda il Cavaliere, tutta dedita ad accaparrarsi fette di potere e spazio politico in vista dell’autunno berlusconiano. A tutto questo va aggiunta la strozzante alleanza della Lega, che fa pagare a caro prezzo il suo appoggio al governo. Tutti questi elementi avrebbero da tempo polverizzato e messo a tappeto qualsiasi politico che non fosse Berlusconi. Ma lui è un combattente e non si lascia liquidare facilmente. E’ indubbio però che il voto mostra con una complessiva chiarezza che un logoramento da non sottovalutare comuncia ad esprimersi e a manifestarsi, anche se in modo contraddittorio. E qui siamo appunto al secondo elemento che è dato dal fatto che avviandosi la crisi del berlusconismo, all’orizzonte non si intravvede una alternativa credibile, politica e programmatica, ma solo una possibile ammucchiata, tra moderatismo ed estremismo, che ora non avrebbe neppure i connotati dell’Unione di prodiana memoria, ma addirittura un miscuglio di opinioni difformi e contraddittorie, capaci solo di mettere in minoranza Berlusconi, ma di non concordare poi su nulla. Pare che questo obiettivo, nella stravagante logica di “difesa” della democrazia, sia considerato rivoluzionario da alcuni esponenti del centro sinistra, anche di alto livello. Ma anche in precedenti occasioni era stata etichettata così l’ammucchiata da Mastella a Bertinotti e che messe alla prova si è vista la loro fine. In un interessante recente articolo sul Corriere, Pierluigi Battista scrive che “la lezione numero uno per il partito degli apocalittici” è cercare di vincere le elezioni e “che la sinistra dovrà non solo rimodulare i propri umori, ma imparare finalmente a mettere in discussione se stessa, non la democrazia” e che “le ragioni vere delle proprie sconfitte, non il popolo che le ha determinate scegliendo l’avversario” oppure “cedere al vittimismo che ha percorso e devastato la sinistra in questi anni, l’idea che le sconfitte fossero originate da un tenebroso Regime che aveva avvelenato le coscienze, abolito la libertà, rovesciato l’ordine costituzionale. Non era vero niente”. Certo, questa è una difficile situazione nella quale rischia di impigliarsi la fine di una seconda Repubblica mai nata. Ma è il lavoro politico e non la criminalizzazione dell’avversario che può risultare risolutiva. In questo contesto politico generale, complesso, contraddittorio e quindi di una certa pericolosità, si è inserito il voto calabrese che costituisce davvero una controtendenza rispetto a quella nazionale. In Calabria il centrodestra vince. Intanto ha conquistato Catanzaro e confermato Reggio Calabria. Nei ballottaggi si vedrà cosa succederà a Crotone e Cosenza, dove il Pd è addirittura fuori gioco. Qualche esponente del Pdl, preso da eccessivo entusiasmo, ha parlato di “modello Calabria”, indicandola come laboratorio politico vincente per il centrodestra. Sarà. Ma sul voto calabrese ha certamente pesato un Partito democratico allo sbando. Un partito umiliato e diviso da un lungo commissariamento demenziale e da una classe dirigente in parte inadeguata e complessivamente priva di qualsiasi capacità reattiva verso una direzione nazionale che mortifica non una classe politica che lo merita, ma un movimento popolare e democratico che ha radici e tradizioni storiche rilevanti in una regione riscattata dalla servitù padronale e dal latifondo. Il segretario Bersani, per la campagna elettorale per i ballottaggi, è venuto in Calabria, con comizi tra gli altri a Cosenza e a San Giovanni in Fiore. Due tappe che esprimono bene due fallimenti del centrosinistra e soprattutto del Pd: San Giovanni, antica roccaforte del Pci e della sinistra; Cosenza, città inespugnata da decenni e che ora dovrà scegliere tra un candidato del centrodestra e l’altro che deve subire le ironie del presidente della Giunta regionale Scopelliti sul rifiuto della candidatura del Pdl. Anzicchè venire, a tempo scaduto, a chiedere voti, circondato da dirigenti gaudenti e plaudenti di un partito fantasma, Bersani avrebbe dovuto chiedere scusa per aver trattato e continuare a trattare la Calabria come una appendice politica insignificante e quasi fastidiosa. Posta nelle mani di un commissario che sarà certamente una brava e rispettabile persona, ma della cui presenza il Pd, o quello che è rimasto del Pd, deve sbarazzarsi al più presto, riprovando a costruire un partito che non sia dei presidenti di Provincia (dove ci sono) e dei sindaci, ma di militanti e dirigenti riconosciuti non come “amici di”, ma come nuovi protagonisti di una lotta per rinnovare la Calabria e toglierla ai trasversalismi e ai maneggioni di tutti i colori e risme. Scrivere dei risultati di una competizione elettorale significa essere duri e irriverenti, perchè le ipocrisie possono anche attirare strumentali simpatie, ma non suscitano riflessioni serie e produttive. Certo. In Calabria il centrosinistra paga errori di lunghi anni; paga il fallimento di una esperienza di governo regionale; paga la nascita di un Partito democratico stretto tra un “nuovismo” veltroniano improvvisato e una riproduzione di una classe dirigente adattata a qualsiasi mutamento. Il commissario del Pd Musi qualche mese fa aveva preannunciato l’avvio dei congressi a dopo le elezioni. Bene. Ad elezioni concluse si può avviare un confronto aperto e rigoroso che possa coinvolgere la più larga parte della società calabrese.